RISO AMARO: IL NEOREALISMO ITALIANO DI GIUSEPPE DE SANTIS Reviewed by on . Rating: 0

RISO AMARO: IL NEOREALISMO ITALIANO DI GIUSEPPE DE SANTIS

RISO AMARO: IL NEOREALISMO ITALIANO DI GIUSEPPE DE SANTIS

di Benedetta Franzin

Quando nella rivista Cinema diretta dal figlio di Benito Mussolini, Vittorio, i giovani registi e critici iniziano a schierarsi aspramente contro il sottogenere cinematografico dei telefoni bianchi detto anche all’ungherese – spesso ambientato in luoghi fittizi dell’est Europa, ispirato a soggetti ungheresi e volto a rappresentare il benessere socio economico italiano tra il 1936 e il 1943 – quelli che saranno i maggiori esponenti del neorealismo italiano ritengono che sia necessario rivolgersi agli scrittori veristi di inizio secolo per portare sul grande schermo delle storie nelle quali gli spettatori si possano riconoscere.

Lavorando a fondo sul materiale fornito dai film calligrafisti – quelli cioè ricchi di riferimenti letterari, figurativi e traboccanti di carica espressiva – i registi del neorealismo sono spesso stati influenzati dal realismo poetico francese degli anni Trenta che ebbe successivamente una grande influenza nello sviluppo del cinema moderno.

Sono passati un paio di anni dall’effettiva nascita del Neorealismo italiano e, in particolare, è il 1946 quando Giuseppe De Santis, di ritorno da Parigi, nell’attesa della coincidenza per Roma alla stazione di Milano ancora dismessa dai danni della guerra, sente il vociferare di un gruppo di donne che ben presto inizia a diventare canto di un gruppo di mondine dirette alle grandi pianure del riso nel periodo della raccolta. Ed è in questo modo che nasce l’idea di Riso Amaro.

Nominato all’Oscar nel 1951 come Miglior Soggetto, in esso si possono identificare due aspetti che si riflettono in tutta la cinematografia neorealista del dopoguerra. Come sostiene Carlo Lizzani nel corso di un’intervista raccolta all’interno dell’edizione restaurata e rimasterizzata del DVD, la coralità che nel film di De Santis si accentua grazie alle canzoni popolari delle mondine, è la coralità tipica del neorealismo, in cui è la cornice a dare completezza alla narrazione, senza trascurare alcun personaggio secondario.

La rinascita post bellica prima del boom economico degli anni Sessanta è rappresentata perfettamente in Riso amaro. Per la prima volta, infatti, le donne si trovano a doversi scontrare con una realtà lavorativa devastante di cui Silvana Mangano è eletta Miss dalle stesse: eroina prorompente ed ingenua, distrutta dalla sua stessa esuberanza. Se da un lato, De Santis aveva infatti pensato a Lucia Bosè per il ruolo di Silvana Meliga, dall’altro, paradossalmente, solo la naturale esuberanza di una Silvana Mangano diciottenne, romana di padre ed inglese di madre, riuscì a catturarne l’attenzione fino alla scelta di assegnarle il ruolo che le avrebbe dato la fama internazionale.

E’ forse una sfiziosa curiosità sapere che Silvana Mangano venne scartata al primo provino assieme al gruppo di ragazze che si erano presentate perchè vestita e truccata in modo vistoso. Catturò l’attenzione di De Santis qualche tempo dopo, all’incrocio tra via Veneto e una piccola trasversale – forse via Sicilia – quando i due si scontrarono casualmente. Le forme morbide – che De Santis non ha mai volutamente accentuato nel film, assieme alla carica erotica – l’aria dismessa, il viso struccato e i capelli bagnati dalla pioggia, hanno subito colpito il regista che dopo anni continuava a ricordare il dettaglio di una piccola rosa tenuta gelosamente tra le mani, quasi a cristallizzare l’aria malinconica e poetica di una donna estremamente fragile come la Mangano ha dato prova di essere, per tutto il periodo di collaborazioni con De Santis.

Riso Amaro è il primo film italiano del dopoguerra presentato in concorso al 3° Festival di Cannes e recentemente selezionato dalla critica come uno dei 100 film italiani da salvare. Il soggetto realizzato da Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani e Gianni Puccini è riuscito a conciliare con estrema attinenza alla realtà due aspetti contrastanti e complementari della vita nelle risaie, la bellezza di Silvana Meliga e la brutalità di una condizione lavorativa disagiata e sconvolgente, che fa da sfondo ad una travolgente storia d’amore univoca (l’amore si snoda in due coppie, quella di Raf Vallone/Sergente Marco Galli innamorato di Silvana ma non corrisposto e quello di Vittorio Gasmann/Walter Granata che fa credere alla giovane di essere innamorato, al fine di farsi aiutare nel colpo grosso al deposito di riso) in cui l’imbroglio è una faccia della medaglia e la protagonista pagherà – forse moralisticamente – la propria ingenuità con l’atto suicida.

In un film gioiello al quale la critica ha spesso e superficialmente associato una carica erotica volutamente ricercata dal regista – che assieme al lavoro della costumista Anna Gobbi ha solo riproposto il tipico abbigliamento delle mondine (le calze nere perchè più ‘popolari’ e meno costose rispetto a quelle grigie) – le musiche di Goffredo Petrassi hanno giocato un ruolo fondamentale, articolandosi su tre piani:  quello della colonna sonora, tradizionale ma innovativa sotto diversi aspetti; quello dei canti popolari delle mondine e quello della musica jazz.

Il peso del cinema hollywoodiano in questa regia di De Santis si è fatto sentire, portandolo a realizzare qualche stereotipo di genere, com’è successo con il personaggio del mascalzone interpretato da Vittorio Gassman (lo ha sostenuto anche Giorgio Bianchi in Candido il 2 ottobre 1949) che sembra avere i tratti di un delinquentello di quartiere, una sorta di cowboy affascinante e scaltro in realtà molto diverso da come un mascalzone si presenterebbe nella realtà.

Riso Amaro è un film che descrive una gioventù povera e disastrata ma completamente immersa nelle fantasie e nei giornaletti di gossip spiccio, nei fumetti e nei film di supereroi, incapace di reagire e di rialzarsi dalla propria condizione, preferendo annientarsi alla ricerca di una gloria vana che probabilmente non arriverà mai.

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