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ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO: L’IMPORTANZA DEL TEMPO E LA RINASCITA DI JOHNNY DEPP

ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO: L’IMPORTANZA DEL TEMPO E LA RINASCITA DI JOHNNY DEPP

di Benedetta Franzin

Nel 2016, Alice attraverso lo specchio (Alice Through the Looking Glass), sequel di Alice in Wonderland diretto dal Tim Burton nel 2010 e ispirato al celebre romanzo di Lewis Carrol, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, passa alla regia di James Bobin.

Se da un lato il racconto scritto da Lewis Carrol è completamente incentrato sul tema degli scacchi per il quale l’autore stesso fornisce uno schema di gioco ad inizio romanzo, dall’altro il regista, che continua a mantenere un forte legame stilistico e tematico con l’idea originaria del padre di Edward mani di forbice – probabilmente estenuato alla sfortunata e in qualche modo ‘forzata’ collaborazione Disney, da sempre in contrasto con il proprio modo di fare animazione e cinema - preferisce dar vita ad un viaggio visionario e travolgente, in cui è il Tempo (rappresentato sullo schermo da un grande ma purtroppo sottotono Sacha Baron Cohen) a muovere le pedine e a gestire l’evolversi degli eventi, in veste di maestro-amico capace di trasmettere non solo pesanti ammonimenti ma anche insegnamenti e valori.

Alice invecchia e Mia Wasikowska (mai magnetica, mai estremamente folgorante) ne è la prova, assieme allo sguardo stanco e al disincanto tipico di chi ha viaggiato tanto attraverso il mondo. Di ritorno da un viaggio in Cina con la nave del padre defunto, Alice scopre che il suo ex promesso sposo sta per prendere il controllo delle sue proprietà. Soffocata dalla falsità dei sorrisi tipicamente aristocratici, Alice riesce a trovare una via di fuga grazie ad uno specchio segretamente nascosto in una stanza, passaggio verso un mondo straordinario ricco di avventura e (s)piacevoli sorprese. Il Cappellaio matto è avvizzito dal dolore della perdita, convinto e risoluto nel tentativo di ritrovare la propria famiglia, determinato a morire quando Alice prova a spiegargli che dalla morte non c’è via di fuga e che non riesce proprio a credere alle sue parole, a dare un seguito alle sue richieste. Ad effetto domino si sviluppano dunque una serie di imprevisti e (invani) tentativi di cambiare il passato che si snodano subito nella non arrendevolezza di Alice e, infine, nella consapevolezza che dal passato si possono di certo trarre i giusti insegnamenti e comprendere molti aspetti del presente, come il carattere rigido e collerico della Regina di cuori (una splendida, seppur non nella sua migliore interpretazione, Helena Bonham Carter) che custodirebbe proprio nei dissapori familiari la ragione della sua frustrazione ed infelicità.

Un Johnny Depp che non funzionava diretto da Tim Burton e che continua a non funzionare diretto da James Bobin. Perché il problema sussiste nel personaggio del Cappellaio, giustamente sopra le righe, forse quel che basta per traboccare assieme ai colori che stonano e che rischiano di scontrarsi con la storia e con l’impronta ‘gotica’ che Burton non riesce a far totalmente emergere nella propria regia e che Bobin affonda completamente nella seconda. Johnny Depp trova in parte la propria rivincita nel progetto più fresco ma comunque debole di Bobin che sembra voler dar voce all’attore, più che al personaggio che interpreta, riscuotendolo dalle ultime prove sfortunate e bistrattate dalla critica, per far emergere un’immensa abilità espressiva, tipica di uno stile abbandonato da tempo assieme alle scelte cinematografiche azzeccate, uno stile fatto di sguardi e parole non dette o dette al momento giusto, perché basti guardare gli occhi di quell’attore straordinario per ritrovare i ricordi e tutto ciò di cui si ha davvero bisogno.

 

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