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CAROL, IL POTERE DELL’AMORE E IL FASCINO MAGNETICO DI CATE BLANCHETT

CAROL, IL POTERE DELL’AMORE E IL FASCINO MAGNETICO DI CATE BLANCHETT

di Benedetta Franzin

Viene presentato in concorso al Festival di Cannes 2015, si prospetta essere tra i film più importanti della stagione cinematografica e non porta a casa alcuna statuetta agli Oscar 2016, nemmeno quella alla miglior colonna sonora per Carter Burwell, sorpassato da Ennio Morricone per le musiche di The Eightful Eight diretto da Quentin Tarantino.

Carol di Todd Haynes con Cate Blanchett e Rooney Mara affronta un tema attualissimo con l’intensità e la delicatezza di un cinema d’antan, pronto a parlare senza parole e a servirsi quasi sempre delle sole immagini per trasmettere sentimenti ed emozioni. Non a caso, Cate Blanchett (Carol Aird) dimostra ancora una volta il proprio eclettismo e – in questo caso – la propria somiglianza a Marlene Dietrich, vestendo i panni di una donna ambigua, estremamente affascinante e magnetica, che si innamora di Therese Belivet (Rooney Mara), una commessa ventenne incontrata in un grande magazzino di Manhattan dove lavora sognando di fare della fotografia la sua professione. Carol è però anche immensamente fragile, sposata con Harge (Kyle Chandler) che non ama e dal quale è decisa a divorziare e madre innamorata della propria figlia Rindy, che vuole crescere e accudire nonostante la famiglia del marito continui ad ostacolarla apertamente, nel tentativo di dimostrarne l’omosessualità, l’immoralità e – di conseguenza – l’inadeguatezza a fare la madre.

Il film è tratto dal romanzo di Patricia Highsmith intitolato The Price of Salt e permette la riflessione comparata sul tema dell’omosessualità tra società moralista e bigotta degli anni Cinquanta e quella – forse aperta e libera – dei giorni nostri. Carol è una donna apparentemente forte ma profondamente ingenua, così come Therese Belivet appare spesso più determinata e indipendente di quanto si possa immaginare ad una prima, superficiale visione. Gli azzardati paragoni tra il personaggio di Rooney Mara e la Sabrina di Audrey Hepburn perdono di vista il più evidente e forse voluto contatto tra Therese e le nostre generazioni di ventenni che non hanno il coraggio e l’occasione di esporsi professionalmente, preferendo, almeno per i primi tempi, lavorare a tempo perso sognando un futuro compatibile con le proprie passioni. L’instabilità affettiva di Therese, che riconosce nel pretendente Richard (Jake Lacy) solo una fonte di oppressione, cerca – forse inconsciamente – quella forza prorompente e quella libertà che solo Carol è in grado di darle. Entrambe sole e solitarie in  una New York fredda e ancora non troppo caotica tanto da permettere una fuga trasgressiva e romantica, quelle di Therese e Carol si incontrano come due anime simili e diametralmente opposte, l’una donna vissuta e delusa dalla vita, l’altra troppo giovane per aver già conosciuto le pene d’amore.

L’estrema delicatezza delle poche scene erotiche contribuisce a dare al film un’impronta artistica, giocando sui dettagli e sui primi piani, mai banali e scontati.

Un film emozionante e raffinato che trova nella regia e soprattutto nella colonna sonora il proprio punto di forza. Il meritatissimo e tanto atteso Oscar ad Ennio Morricone lascia passare in secondo piano la mancata premiazione di un capolavoro tanto sofisticato che un po’, con il Morricone più classico che si conosca, ha davvero tanto a che fare.

 

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