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NIENTE “MADE IN” PER IL TAVOLO VENETO DELLA MODA: “MANCATO IL SOSTEGNO DA PARTE DEL GOVERNO”

NIENTE “MADE IN” PER IL TAVOLO VENETO DELLA MODA: “MANCATO IL SOSTEGNO DA PARTE DEL GOVERNO”

Il Tavolo Veneto della Moda non riesca ad aggiudicarsi il “Made In”.

Nonostante sia l’unica esperienza in Italia capace di coordinare Confartigianato, Cna, Confindustria, Confcommercio e Confesercenti, il Consiglio Europeo non ha raggiunto l’accordo sull’approvazione dell’etichetta obbligatoria, rimandando le decisioni al 2015; un semestre che è coordinato dalla Lettonia, Paese del blocco della Germania, la quale ha combattuto contro il “sì”.

La delusione più grande, dicono i portavoce, non è stata tanto la mancata approvazione, quanto il mancato sostegno da parte del Ministro Guidi e del Governo Italiano, che non si è minimamente speso nella causa.

«Una doccia fredda – hanno dichiarato i componenti del Tavolo Michele Bocchese (Confindustria), Gianluca Fascina (Confartigianato), Giorgio Silvestrin (CNA), Gabriel Giannino (Confcommercio) e Marialuisa Pavanello (Confesercenti) – che ci fa comprendere come il Ministero dello Sviluppo Economico non abbia capito quanti posti di lavoro in più, quali ricadute economiche concrete sui territori e soprattutto quale impatto emotivo sugli imprenditori avrebbe potuto garantire il “Made in” obbligatorio. La crescita dipende anche dall’ottimismo e dalla fiducia, che valgono più di un trattamento economico. A perderne il patrimonio manifatturiero italiano rappresentato da 596.230 imprese con 16.274.335 addetti, di cui il 47,2% in microimprese sotto i 9 addetti, il 58,1% in micro e piccole imprese fino a 20 addetti e il 67,9% in piccole imprese sotto i 50 addetti»
«Ulteriore amarezza – ha concluso il portavoce Secco – deriva da una coincidenza temporale. Proprio mentre l’Europa abbandonava la sua tracciabilità, negli Stati Uniti La Federal Trade Commission annunciava un giro di vite nei confronti dell’utilizzo della certificazione sulla produzione all’interno degli Stati Uniti. Una stretta che si tradurrà in una valorizzazione del marchio “Made In”. Una strategia coerente con il periodo di rilocalizzazione negli Usa di molte attività produttive che precedentemente avevano delocalizzato in Cina. Quando smetteremo di farci del male?».

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